Le letture di questa Domenica, a mio avviso, contengono due dei versetti più drammatici di tutta la Bibbia; i versetti 6-7 del Vangelo: “Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto»”. Drammatici perché, se da un lato sono assolutamente chiari, semplici ed evidenti, riguardo a ciò che dobbiamo fare per essere salvi, dall’altro sono stati così macroscopicamente vituperati da fiumi di predicazione spiritualistica, da renderli quasi del tutto innocui. Ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, Gesù è stato collocato su di un piedistallo come una delle tante divinità; successivamente le varie generazioni cristiane sono state chiamate a mettersi di fronte a questo “idolo”, per rispondere intellettualmente alla domanda della vita: “Voi credete che Gesù è la via, la verità e la vita”; ovviamente chi risponde “sì” sarà salvo, chi risponde “no”, non si sa bene che fine farà in questi tempi di “misericordia low-cost”; in ogni caso dovrebbe avere qualche problema.
Al di là dell’ironia, il grande dramma, messo in luce da questa frase di Gesù, è che noi, personalmente, ma soprattutto ecclesialmente, facciamo una fatica enorme a riconoscere questa “deriva idolatrica” nei riguardi di Gesù. Invece dovremmo concentrarci sulla sua prassi storica, sulle sue dinamiche sociali e religiose, sulle sue opzioni, per ricordarci che tutto ciò è la Verità della Vita; ovvero, non c’è modo di vivere più autentico e felice di quello, che Lui ha incarnato. Per questo motivo il cercare di seguire la Via, ovvero il modo di vivere di Gesù, non può essere materia da Messa domenicale, o di qualche sparuta riflessione, bensì dovrebbe essere “il chiodo fisso”, “il pensiero dominante”, di coloro che hanno scelto di seguirlo.
D’altro canto, noi preti e vescovi, continuiamo a predicare, inconsapevolmente, che “basta fissare lo sguardo su Gesù, per arrivare al Padre”, nascondendo alle masse che invece è vivendo come Gesù, che “si arriva al Padre”. E sì, proprio così, ma come si fa a vivere come Gesù “oggi, qui ed ora”? Ecco la domanda autentica, che, per essere tale, non può ricevere una risposta di poche righe; anzi, per la sua radicalità, questa domanda indica un compito permanente, che deve accompagnare la vita di ogni cristiano. Ma la vera sfida per noi Chiesa, laici e clero ad un tempo, è il coraggio di non eludere questa domanda, non glissarla abilmente, per il timore che lei “spacchi le nostre Comunità, se non la Chiesa intera”. E sì perché, a mio avviso, la tragedia più grande della Chiesa contemporanea è questa paura che il confronto, serrato e impietoso, con il Vangelo possa spaccarla, dividerla, frazionarla. Dimenticando che la Chiesa da subito, da sempre si è divisa, si è frantumata di fronte alla prassi del suo Signore; altrimenti come ci spieghiamo il perché solo alcune donne “l’hanno seguito” fin sotto la Croce?
Ovviamente non voglio inneggiare, o incentivare le divisioni tra coloro che dicono di voler seguire Gesù. Anzi, il suddetto confronto con la prassi di Gesù ha senso se parte da un’umiltà di fondo, ovvero dalla consapevolezza della mia inadeguatezza, la mia distanza dal suo modo di vivere; ma esattamente per questa distanza ho bisogno del confronto con i miei fratelli di fede “per vedere e seguire” meglio l’unico Signore. Questa preoccupazione non può non interessare tutti coloro che hanno preso a serio l’invio missionario di Gesù Risorto. In realtà quell’invio è rivolto alla Chiesa nel suo insieme, ma si realizza attraverso la prassi di ciascuno di noi. Ciò perché, in realtà, è ancora e sempre Gesù l’artefice della missione, anche se, dalla Pentecoste alla Parusia, Lui si renderà presente attraverso ciascuno di noi come membro del suo Corpo, la Chiesa.
Questo nesso e questa interazione tra la vita del singolo credente e l’intero corpo della Chiesa è uno dei punti più delicati e, forse, sottaciuti nell’attuale stagione ecclesiale. Purtroppo mi pare che nella maggior parte dei cattolici, indifferentemente laici e religiosi, prevale un substrato “new age”, un cristianesimo “ligth”, di basso profilo, nel quale possiamo parlare, confrontarci, dissertare sui più svariati temi e contenuti di fede, ma, né più, né meno, come si fa nei salotti bene, o nei caffè snob: finita la discussione, ciascuno continua a fare rigorosamente ciò che vuole. Anzi è ritenuto profondamente scorretto confrontarsi sulle nostre passi esistenziali.
Dal punto di vista cristiano, invece, non posso limitarmi a seguire in qualche modo il Signore, perché, se da un lato mi devo preoccupare di come io sto incarnando il Vangelo, dall’altro il confronto ecclesiale con la prassi di Gesù è fondamentale per far sì che il Corpo nel suo insieme, ovvero la Chiesa, sia riflesso, segno credibile dell’unico Signore. Pertanto, questo confronto ecclesiale sui nostri stili di vita come cristiani, seppur sofferto e faticoso, è inevitabile, se realmente vogliamo testimoniare il Signore Gesù, morto e risorto, e non l’idolo gesù, che c’è in noi.
don Marco