In questa Domenica d’Avvento, dedicata alla riflessione sulla Divina Maternità di Maria, ancora una volta il rischio più grande è perdersi in una contemplazione astratta ed evanescente di questo prodigio riservato a Maria. Senza nulla togliere alla singolarità dell’evento, penso però sia importante riflettere sul lato antropologico, umano, dello stesso, visto che l’azione di Dio sta al di là della nostra comprensione ed, ancor più, della nostra azione.
Il primo dato rilevante di questa vicenda è il dialogo tra l’angelo, rappresentante del Padre, e Maria. Dettaglio questo irrilevante rispetto alla straordinarietà dell’evento; ovvero Maria avrebbe potuto “essere usata” dal Padre, liberandola da ogni coinvolgimento e responsabilità. Vien da dire che l’onnipotenza del Padre si rivela esattamente in questo totale rispetto e valorizzazione della libertà umana. Ovviamente non posso censurarmi la costatazione di quanto, ancora oggi, facciamo fatica tra noi mortali ad interagire con la libertà degli altri. Non m’interessa qui approfondire gli esiti tragici del libertinaggio e dell’indifferentismo contemporaneo. Il mondo è mondo e sempre sarà carente riguardo alla Verità. La questione veramente tragica è il constatare come, dentro la propria Chiesa, si oscilli tranquillamente tra un libertinismo cattolico (ciascuno fa ed ha il diritto di fare ciò che si sente) ed un legalismo autoritario (basta trovare un pretesto canonico, per erigersi a signori, despoti della realtà, che ci è stata affidata). Difficilmente si trova qualcuno, soprattutto tra coloro che rivestono alcun ruolo, capace di dialogare con la libertà delle persone, per portarla a prendere le decisioni più chiare e responsabili possibili. Nella consapevolezza che la decisione ultima spetta, inevitabilmente, alla libertà, non all’autorità.
L’altro tema, certamente dominante in questa domenica, è il rapporto tra Maria e la Parola. Noi celebriamo la Divina Maternità di Maria, il suo dare alla luce il Figlio di Dio, il Logos, ovvero la Parola di Dio. Ma questa generazione, pur nella singolarità di questo Figlio generato, è lo svilupparsi ed il giungere a maturazione di un processo più profondo. E questo processo può essere riassunto nel fatto che Maria ha potuto generare, perché prima si è fatta fecondare dalla Parola. Proprio per il suo essere perennemente protesa nell’ascolto della Parola, come ogni ebreo osservante, finalmente accoglie anche questo avvento inaudito della Parola di Dio, attraverso l’angelo. Certamente non avrebbe potuto sostenere questo dialogo, inaudito e imprevisto, se già non avesse avuto una consuetudine con la Parola di Dio ed, ancor più, con le Sue gesta.
A questo livello possiamo anche cogliere le ricadute di questa Festa, per noi e per la Chiesa. Ovvero, questa esperienza di Maria ci dice, ancora una volta, la centralità e l’insostituibilità della Parola nella vita del Chiesa e del singolo credente. Non a caso il nostro grande Cardinal Martini cominciò il suo episcopato milanese con la famosa Lettera Pastorale “In principio la Parola”. Tornando invece un po’ più indietro nel tempo, vale sempre il famoso motto di San Girolamo, non l’Emiliani, secondo il quale “Non conoscere le Scritture è non conoscere Cristo”. Confesso che questa cruda verità mi spaventa tutte le volte che mi ritorna alla mente.
Come leggevo in queste settimane in un saggio, di cui non ricordo la citazione, certamente il Movimento biblico del Novecento ha fatto fare grossi salti alla Chiesa Cattolica fino, più o meno, agli anni settanta del secolo scorso. Purtroppo, durante il grande gelo woytiliano, soprattutto in America Latina, la Lettura Popolare della Bibbia ha subito quei piccoli, impercettibili “aggiustamenti, per purificarla da tutte le infiltrazioni sociologiche e marxiste, reali, presunte, o possibili”, che hanno ridotto la Parola ad un manuale per i vari movimenti devozionali, al fine di coltivare i più disparati sensi di colpa, salvo poi affidarsi alle parole risanatrici dei più disparati “apprendisti fondatori” dello spiritualismo contemporaneo.
Qui in Italia, dove la deriva individualista nella lettura della Parola non è mai stata superata, ci troviamo, da un lato in una ricaduta nel più bieco devozionalismo ottocentesco, dove la Parola è un mero orpello a servizio dell’ideologia spiritualistica del predicatore di turno, dall’altro fa fatica a superare un certo intellettualismo, sempre troppo lontano dai problemi laceranti, che la gente comune vive ogni giorno. Mi preme qui portare anche una semplice testimonianza personale, alla luce delle due realtà brasiliane, nelle quali ho lavorato. Infatti, quando abbiamo strutturato tutta la pastorale parrocchiale a partire dai Gruppi biblici, fondati sul Metodo della Lettura Popolare della Bibbia: Vedere-Giudicare-Agire, il livello di consapevolezza e di appartenenza da parte dei fedeli è cresciuto esponenzialmente. Per non parlare delle ricadute, ecumeniche e missionarie, ad un tempo. Pur con tutta la varietà e la precarietà di ogni realizzazione umana, “i miei occhi hanno visto” ed io testimonio, che il Gruppo biblico può essere una vera e propria presenza del Regno nella via in cui vive ed opera. A questo riguardo mi permetto di far notare come il metodo, col quale si legge comunitariamente la Parola, non è indifferente, fermo restando la forza propria che la Parola possiede, al di là dei metodi di lettura.
Probabilmente, forse, questa Festa tradizionalissima ci provoca a ripensare la nostra relazione, personale ed ecclesiale, con la Parola di Dio.
Don Marco