Purtroppo oggi siamo obbligati a soffermarci solamente sul Vangelo. Troppo strane e lontane da noi le altre due letture, per ricavarne, in questo contesto, lo spazio di un commento decente…
Questo testo di Marco, che ci racconta dell’entrata messianica di Gesù in Gerusalemme, per consonanza vuole risvegliare il nostro cuore nell’attesa del Signore Gesù che viene, che vuole entrare nella nostra vita, così come è entrato in Gerusalemme. Ancora una volta però, se non cogliamo i dettagli del gesto di Gesù, rischiamo di soffermarci su di una allegria, un’esultanza, tutta esteriore ed un po’ gonfiata, invece di rivivere gli atteggiamenti, che Gesù si aspetta da noi.
Allora, penso, che sia inevitabile chiederci, ma perché Gesù entrò in Gerusalemme in quel modo? Che cosa voleva dire e che cosa si aspettava da coloro che l’accompagnarono?
Innanzitutto dobbiamo toglierci dalla testa quella visione immaginaria, costruita lungo i secoli, di una entrata trionfale di Gesù tra due ali di una moltitudine acclamante. Il testo evangelico, in particolare questo di Mc, che è il più antico, non fa cenno di moltitudini. Così come, se ci fosse realmente stata una entrata trionfale di Gesù, non sarebbe passata inosservata alle cronache dell’epoca; esattamente per le ricadute teologiche e politiche, che tale gesto avrebbe avuto.
Il testo evangelico ci parla genericamente di una folla presente, probabilmente la cerchia degli amici dei discepoli di Gesù e altri curiosi e simpatizzanti. Inoltre, dobbiamo tenere presente, che Gesù sta concludendo il suo lungo viaggio, che dalla periferica Galilea lo ha portato fino al centro, al cuore dell’ebraismo, a Gerusalemme. Tra poco, al v. 15, Gesù entrerà nel Tempio, per purificarlo. Ecco allora che, per sostenere e confermare la fede dei discepoli, Gesù compie questo gesto, in evidente obbedienza alle Scritture. Con questo segno Gesù afferma chiaramente la sua messianicità e chiede ai discepoli la risposta conseguente, ben sapendo che la loro fede, il loro riconoscimento di Lui come Messia, sarà tra poco messa alla prova duramente. A pochi giorni da questo gesto simbolico, infatti, il potere politico e le autorità religiose, con un’alleanza diabolica, cercheranno in tutti i modi di smentire questa fede dei discepoli.
Dentro questa dialettica e questo conflitto nel “guardare e riconoscere” Gesù, alla luce delle Scritture, sta il senso di questo brano e della celebrazione di oggi. A questo riguardo, mi preme richiamare l’attenzione, di chi leggerà queste righe, circa il pericolo di relegare in quel passato il dramma e la fatica di riconoscere e capire Gesù nelle sue scelte e nelle sue opzioni. Vivendo nella mia carne, in questi giorni, questo conflitto, mi sarebbe, ad un tempo, troppo facile e troppo fazioso, il parlarne a partire dalla mia esperienza attuale.
Forse, allora, ci è più facile capire qualcosa di questo dramma, se guardiamo ciò che si sta muovendo attorno alla testimonianza del Papa. Ovviamente queste considerazioni non hanno senso, se abbracciamo la tesi, pur vera, secondo la quale “tutti i Papi sono stati perseguitati, in un modo o nell’altro”. In realtà, con Papa Francesco la questione si gioca ad un livello molto più profondo. Infatti, come tutti avranno notato, lui ci ricorda continuamente, che non ha nessuna intenzione di alterare o accrescere qualche aspetto della dottrina della Chiesa. Lui non ha assolutamente intenzione di integrare o aggiungere qualcosa ai dogmi della nostra fede cristiana.
La sua preoccupazione assoluta, personale ed ecclesiale ad un tempo, è fissare lo sguardo sulla prassi di Gesù di Nazareth, perché quella prassi sia il riferimento assoluto della sua e nostra prassi di vita. Ma proprio questo insistere “maniacalmente” su ciò che farebbe Gesù nelle concrete situazioni del nostro presente, questo fatto scatena le più feroci e velenose reazioni, soprattutto da parte di noi, uomini religiosi, detentori delle chiavi d’accesso alle Scritture, che finora ci siamo abituati più a separare, che a coniugare Gesù dentro le contraddizioni della storia. Siccome il renderlo così semplicemente presente, dentro le realtà più clamanti del nostro tempo, smaschera tutte le nostre paure nel mettere in pratica il Vangelo, ecco allora che diventa prioritario “allontanare il Papa dal Vangelo”; ovvero cercare in tutti i modi di trovare possibili incongruenze tra il Papa ed il Vangelo.
Grazie a Dio, però, nonostante il rifiuto delle schiere più “religiose” della Chiesa, giustamente Papa Francesco insiste, imperterrito, su questa che è la questione fondamentale per la fede della Chiesa: il confronto, serrato e permanente, con la prassi di Gesù di Nazareth, pur nello scatenarsi dell’inevitabile “conflitto delle interpretazioni”; perché quel modo di vivere è la forma più alta del rivelarsi di Dio Padre all’umanità. Quindi il riconoscere che Gesù è il Messia non è, e non può essere, una mera questione verbale, linguistica. Confessare Gesù, come Messia, significa riconoscere il carattere rivelativo, salvifico, del suo modo di vivere. E per questo motivo cercare di assumerlo nella nostra vita, perché anche la nostra vita sia rivelativa, sia segno, di Lui e in Lui del Padre.
don Marco