Certamente il tema centrale, che unisce le tre letture di questa domenica, è la sottolineatura della volontà salvifica da parte del Signore. Volontà universale. Egli vuole che tutti gli uomini, in quanto suoi figli, siano salvi. Così la liturgia della Parola inizia con il testo del Deutero Isaia, che si fa carico di dar voce al Signore, presso il popolo esiliato a Babilonia, perché prenda coscienza che, Colui che aveva permesso l’esilio, perché il popolo prendesse coscienza dei suoi peccati, Costui è e rimane superiore a qualsiasi idolo dei pagani, “scolpito dalle loro stesse mani”. Per questo motivo Lui li libererà di nuovo, come già li aveva liberati dall’Egitto, se il popolo saprà sognare e desiderare la sua libertà.
Ma quel Padre liberatore in Gesù possiamo dire che non ha limiti e connotazioni razziali/nazionali: è il Padre dei Cieli “che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”. Allo stesso modo lancia “le reti della Salvezza” per tutti, ovvero non discrimina “i pesci” a priori, a partire da qualche criterio previo, stabilito da Lui. Allo stesso tempo, questo desiderio appassionato di veder salvi tutti i suoi figli, non gli impedisce di continuare a vedere e distinguere “i pesci buoni da quelli cattivi”. Ovvero, la differenza radicale tra il bene ed il male, tra il giusto e l’ingiusto, tra la verità e la menzogna rimane e Lui ne è il garante permanente e definitivo. Se così non fosse chi difenderebbe e riscatterebbe le vittime di tutti i tempi e di tutte le latitudini? Che senso avrebbe una vita in cui alla vittima non resterebbe che “mettere una pietra sopra” all’ingiustizia subita, tanto anche lo stesso Dio non se ne importa del suo dramma e del suo dolore?
Infine, eccoci a S. Paolo con questo testo dalla Lettera ai Filippesi, il quale a suo modo vuole metterci in guardia dal pericolo di autoescluderci dal disegno salvifico del Padre. Infatti, dopo alcuni versetti molto tranquilli e rasserenanti, improvvisamente con il brusco cambiamento di tono e di linguaggio dei vv. 18-19, vuole mettere in guardia i cristiani di Filippi dal rendere vana la Croce di Cristo, ovvero la Salvezza. Come sappiamo, quando Paolo parla di “nemici della Croce” non sta facendo riferimento a nemici materiali della Croce; non sta pensando a qualche forma di iconoclastia. In realtà egli vuole smascherare forme di pensiero e di vita contrari alla logica della Croce. Anzi lo stesso v. 19 ci dice qual è il nemico, che preoccupa Paolo: il ventre. Anche in questo caso non pensiamo che i nemici della Croce siano semplicemente persone golose e goderecce; anche loro, in alcuni casi, ma non soprattutto.
Ecco allora che, forse, ci appare più chiara l’esortazione e la preoccupazione di Paolo. Infatti, se la Croce è il segno della dedizione totale ed assoluta di Gesù al progetto del Padre, che è la costruzione del Regno, la pancia è sinonimo dell’altro termine caro a Paolo, ovvero la “carne”. In altre parole seguire il cammino della Croce non vuole assolutamente essere un incentivo alla ricerca di dolori e sacrifici da offrire per la nostra Salvezza; bensì dedicarsi al Regno ed ai suoi valori di forma assoluta, totalizzante, senza nulla anteporre; anche quando questa dedizione può incontrare rifiuti o persecuzioni.
L’esatto contrario di tale dedizione è “il seguire la propria pancia”, è il ragionare di pancia, lo scegliere di pancia; ovvero il lasciarsi guidare dagli emozioni, dalle paure e confondere la salvezza con il soddisfacimento immediato dei propri istinti, dei propri sogni, dei propri interessi. Ma se così è, allora, forse, Paolo non sta parlando solo ai Filippesi… Anzi, se volessimo qui dilungarci con qualche esempio, il pericolo di “pensare con la pancia” e non con la Croce, col Vangelo, è quanto mai presente nelle nostre Comunità cristiane dalle pance troppo piene, eppur sempre sedotte dai richiami del benessere e della sicurezza materiali; al punto da stravolgere evidentissimi dati di realtà.
Possa “lo spettacolo della Croce” sedurci più di tutte le sirene di ogni tempo e dei nostri mari esistenziali.
d. Marco